26 aprile 2002

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 BOLZANO


Sono in pochi, non contano e si sbagliano»
L'Obmann della Svp stronca ogni progetto plurilingue: non porta alcun vantaggio
LA SCUOLA DEL FUTURO

di Orfeo Donatini

BOLZANO. Oggi gli studenti si ritroveranno all'auditorium dell'Iti con la rivista «Il Ponte/Die Brücke» per discutere del futuro della scuola altoatesina puntando molto sull'apertura plurilingue sollecitata da quel maxicorteo dei settemila del dicembre scorso. Ma dalla Svp arriva uno stop forte e chiaro. Siegfried Brugger è stato categorico: «Non rappresentano tutti gli studenti e la loro impostazione è sbagliata». Quanto all'adesione di don Renner, l'Obmann non esita a definirla «singolare».
Gli studenti, ma anche un folto gruppo di intellettuali, tornano a chiedere una scuola plurilingue che superi la cultura della separazione.
«Non sono gli studenti, ma un piccolo gruppo e si tratta di un altrettanto piccolo gruppo di intellettuali. Prendo atto dell'iniziativa, ma è un errore fare una generalizzazione simile. In secondo luogo questa è un'ulteriore iniziativa che si aggiunge a quelle degli ultimi anni. Si ripresenta lo stesso problema già di vent'anni fa, ma ripresentandolo non lo si rende più attuale od importante».
Questa volta c'è anche un illustre esponente della Chiesa fra i sostenitori.
«Che poi ci si metta anche la Chiesa questo è un fattore nuovo. Personalmente sono per la divisione fra Chiesa e Stato e mi limito a prendere atto, con tutto il rispetto della posizione espressa da don Renner, ma questo non cambia la situazione. Che la Chiesa si intrometta lo trovo comunque singolare. Spero che don Renner faccia lo stesso, con analogo entusiasmo, anche su altri problemi come per esempio quando si alzano i nazionalismi italiani contro di noi».
Dunque lo considerate un attacco all'autonomia.
«Innanzitutto non è accettabile che si parli della scuola altoatesina come se fosse una scuola malata o cattiva. Già l'impostazione non è accettabile. Ma è una scelta che non ha niente a che vedere con gli steccati culturali: sono vecchie battute che abbiamo già sentito».
Una sorta di manovra?
«E' un'azione preparata da settimane. Non condivido l'impostazione: se mi si dice che il nostro sistema scolastico mette su barricate e steccati, allora dico che prima di tutto si vuol dimenticare che sono i genitori che decidono dove mandare i loro figli, liberamente».
Dunque no alla scuola plurilingue.
«La scuola bilingue non porta alcun tipo di vantaggio: perché se si vuole imparare bene le lingue lo si può fare con questa interdipendenza attuale. Prima di inventarsi nuovi tipi di scuole cerchiamo quali metodi migliori abbiamo nella scuola tedesca o italiana per insegnare la seconda lingua».
Cosa direbbe agli studenti?
«Semplicemente di diffidare di ogni tipo di strumentalizzazione».
Cosa è possibile fare da subito ad articolo 19 invariato, come avevano suggerito le conclusioni anche del "tavolo Bressa"?
«Possiamo fare molto e stiamo facendo moltissimo. Gli insegnanti stanno lavorando moltissimo in questa direzione. Vi sono sperimentazioni in atto e prima di chiedere altre cose si dovrebbe anche fare un bilancio di quello che è stato fatto. E' molto superficiale dire che è "venuto il tempo"».
Perché invece, secondo voi, la situazione dovrebbe restare di rigorosa separazione?
«Perché mai. Intanto non è rigida perché c'è la massima libertà dei genitori su dove mandare i loro figli a scuola. Nella nostra realtà questo sistema dimostra che è molto efficace. Qual è il motivo principale per il quale dico che la scuola bilingue non porta alcun vantaggio: perché imparando contestualmente le due lingue la tua lingua madre non riesci ad impararla. Invece qui prima si apprende bene la tua cultura nella madrelingua e poi riesci meglio a comprendere anche le altre lingue e le altre culture. Altro che steccati: qui non c'è alcuna guerra culturale».
Temete forse l'avvio di una forma di reale integrazione?
«Se lo temessimo chiuderemmo le scuole tedesche: invece non succede così. La reale integrazione non è il problema sul tappeto. Invece le diversità culturali debbono interagire arricchendo il bagaglio di ciascuno. E questo dipende dagli uomini, non dalla politica».
L'università però è plurilingue.
«E' vero, ma è un altro discorso: qui gli studenti sono già formati e allora è giusto che vi sia questa offerta altamente qualificante e poi non è fatta solo per noi, ma anche per studenti che vengono da fuori».