Scuola, modelli diversi per i due gruppi
RITA FRANCESCHINI, RETTORE DELLA LUB Sulla seconda lingua, bocciata la linea Svp. «Anche se rispetto le paure delle minoranze»
rassegna stampa / Alto Adige - 02/10/2007
 


ALTO ADIGE 02-10-07, pag. 36 Cultura e Spettacoli

L’apprendimento precoce della seconda lingua, l’immersione linguistica, il futuro della scuola altoatesina, le interpretazioni sull’articolo 19 dello Statuto, i veti della Volkspartei e le proteste dei partiti italiani. Sono i temi del dibattito politico che, assieme alla toponomastica, hanno segnato una linea di frattura etnica profonda dentro la giunta provinciale. Come mai? «Perchè le lingue sono un aspetto importante dell’identità personale, sociale e culturale e l’importanza attribuita alle singole funzioni varia fortemente da una persona all’altra e da un gruppo all’altro. Tuttavia, benché queste diverse funzioni risultino tra loro correlate, è importante non confonderle nel trattare questioni politiche concrete». Parola di Rita Franceschini, rettore della Lub. Anzi no. Parola di Rita Franceschini scienziata, linguista di chiara fama, membro del Gruppo ad alto livello sul multilinguismo dell’Unione Europea. La differenza? Il rettore se parla e quando parla ha un peso inevitabilmente politico, lo scienziato no. Lo scienziato invece in questa visione un po’ romantica fa ricerca, mentre le decisioni sulla politica della scuola si prendono altrove e non gli competono. Insomma, chi fa ricerca non è obbligato a confrontarsi - anzi, è auspicabile che non lo faccia - con i temi del dibattito politico. Non è quindi un caso, per sua esplicita ammissione, che Rita Franceschini accettando di parlare con noi su questi temi, abbia scelto come sede dell’intervista il Centro di Ricerca Lingue della Lub, in via Dante a Bolzano, e non il Rettorato. Il messaggio è chiaro: non mi occupo e non mi voglio occupare di attualità politica. Scelta che, peraltro, appare in linea con il profilo basso tenuto dalla Lub in questi anni sulle vicende che riguardano l’apprendimento della seconda lingua. Un assoluto rispetto dei ruoli che si traduce nei fatti in una totale assenza dell’università dal dibattito politico-culturale, anche se Rita Franceschini nega che le cose stiano in questi termini. Vero? Falso? Ognuno potrà giudicare da sé. (m.f.) di Mauro Fattor ASaarbrücken pochi giorni fa erano un esercito. Seicento specialisti di mezzo mondo a discutere di multilinguismo. L’occasione era il «Congresso internazionale per il plurilinguismo precoce come primo passo di una riuscita biografica formativa». Relazione d’apertura affidata a Rita Franceschini, intervento di chiusura affidato ad un altro docente della Lub, il professor Wassilios Fthenakis. Un trionfo per l’Università di Bolzano. Dal congresso è uscita un’indicazione chiara e pressoché unanime: l’acquisizione precoce delle lingue è un’opportunità per affinare le competenze comunicative più in generale. Tutti d’accordo anche nel sostenere che nel cervello c’è posto per più lingue e che la prima lingua straniera che un bambino dovrebbe imparare dovrebbe essere la terza lingua, nel senso che ciascuno dovrebbe crescere del tutto naturalmente con due lingue. E non si è trattato solo di asettiche indicazioni tecnico-scientifiche. Il congresso si è «sporcato le mani» criticando le scelte politiche in materia di strategie di integrazione dei bambini figli di immigrati. E non risulta che la Lub si sia tirata indietro. Anzi, è stata protagonista, a dimostrazione del prestigio di cui l’università bolzanina gode in questo campo. Rettore Franceschini, perchè il vigore accademico-politico dimostrato dalla Lub a Saarbrücken si spegne appena varcato il confine altoatesino? Perchè qui la Lub, sugli stessi temi, tace? «Non è vero. Dall’agosto 2005 ad oggi abbiamo avuto sette incontri pubblici, ampiamente partecipati, a cui hanno preso parte tutte le parti in causa, dai docenti, alle Intendenze scolastiche, per finire agli assessori competenti, in cui abbiamo sostenuto le stesse cose». La realtà è che però, con il dibattito politico delle ultime settimane tutto giocato su questi temi, Lei non ha ritenuto opportuno intervenire. «A noi scienziati spetta il compito di proporre, ai politici tocca il compito di prendere decisioni. Tenendo presente che là fuori, nella nostra realtà altoatesina intendo, ci sono due mondi che ragionano su basi molto diverse. Aggiungo che ho molto rispetto per le paure, comprensibilissime, di una minoranza linguistica». Ma qui sta accadendo qualcosa di diverso. Qui c’è l’onorevole Zeller che traccia la rotta in materia di plurilinguismo, mentre chi ha davvero competenze o non si esprime o non riesce a far arrivare la propria voce. «Non so che tipo di competenze abbia Zeller in questo campo, credo che parli dando voce a tutti i timori a cui facevo riferimento prima. Paure, si badi bene, che sono comuni a tutte le minoranze in Europa e anche altrove». Facciamo un passo avanti. Il veto Svp a percorsi differenziati nell’apprendimento della seconda lingua per la scuola italiana e per quella tedesca, nasce da valutazioni tecniche, non politiche. La prima: se si rende troppo appetibile la scuola italiana c’è il rischio di mettere fuorigioco quella tedesca. La seconda: apprendimento precoce della seconda lingua, immersione, uso veicolare della seconda lingua, minano le competenze linguistiche nella propria madrelingua e, di riflesso, l’identità dei gruppi etnici. Vero o falso? Questi sono aspetti tecnici, il suo pane. Partiamo dall’ultimo. «La risposta è semplice. Non è vero. Non lo è dal punto di vista tecnico-linguistico e non lo è, più in generale dal punto di vista identitario. Non c’è alcuna compromissione dell’acquisizione di competenze nella propria madrelingua. Goethe diceva che più si sa di un’altra lingua, più si sa della propria. Il plurilinguismo è un’opportunità straordinaria, come ha capito già da tempo il mondo dell’economia». E per quanto riguarda l’adozione di un unico modello per le scuole italiane e tedesche, in modo da evitare il rischio di maggiore o minore attrattività dell’offerta della scuola di un gruppo rispetto all’altro? «Ritengo sia sbagliato. Sono favorevole alla diversificazione dei modelli. La tendenza, anche in campo europeo, è quella ad ampliare le proposte formative, a moltiplicare l’offerta. E non ci vedo nulla di scandaloso. Posto che non esiste un modello valido per tutti, e che per questo i modelli devono essere dunque diversi e diversificati, l’unica cosa certa è che l’omologazione non è più possibile. Questo è quello che posso dire io dal punto di vista tecnico-conoscitivo, chiaro poi che sta ad altri attori individuare e proporre i modelli». Dunque tutto il confronto politico di queste settimane è costruito su premesse tecnico-linguistiche errate, su pregiudizi. Bocciato Zeller. Se i politici devono fare i politici, non era il caso da parte Sua di intervenire per aiutare il dibattito ad incanalarsi su binari scientificamente corretti? «A questo riguardo ho già detto quello che penso». Il nuovo disegno di legge prevede anche lo stop all’uso veicolare della seconda lingua. Se si fanno lezioni di storia in tedesco, il voto deve essere di tedesco e non di storia. Cosa ne pensa? «Il modello di insegnamento diversificato adottato dalla nostra università credo abbia dimostrato di funzionare. E anche bene. Se ha dato buoni risultati con i nostri studenti, perchè mai dovrebbe nuocere nelle classi precedenti? Se fosse anticipato anche solo di un anno noi come Lub saremmo contenti, ci troveremmo infatti a lavorare con studenti più preparati. Attenzione però, nessuno si illuda che imparare una lingua sia solo una questione tecnica». Cosa vuol dire? «Intendo dire che la lingua è una scelta d’amore, non è un mero fatto funzionale. Una società come quella altoatesina, cioè un contesto plurilinguistico, ha ovviamente un potenziale enorme, questo è fuori discussione. Per esprimerlo bisogna adottare però scelte coerenti che vadano verso un miglior radicamento plurilinguistico. Valorizzarlo significa questo». Oggi la situazione è che ci sono quartieri di Bolzano dove si può passare una vita intera senza parlare una parola di tedesco, mentre nei piccolo centri della valli accade il contrario. «Quella altoatesina è una società che ha solo frange di multilinguismo, di questo bisogna prendere atto. Ma non sarà l’onorevole Zeller a determinare cosa accadrà nei prossimi anni e l’eventuale modifica dello status quo. Saranno i genitori l’elemento trainante, la forza che, se mai, spingerà verso una maggiore apertura e verso il cambiamento». L’anomalia è che la politica non riesce a rispondere ad una richiesta nuova, e che parte dal basso, di maggiore multilinguismo. Del resto, lo Statuto è stato concepito per costruire due società parallele con pochi punti di contatto. «Io non ho la pillola contro la paura».


in rassegna stampa: Scuola, modelli diversi per i due gruppi«Scuole separate per legge»   degli stessi autori: Scuola, modelli diversi per i due gruppi«Scuole separate per legge»

Copyleft - Riproduzione consentita