Il bilinguismo sulla stampa


Leggi l’articolo completo del quotidiano Alto Adige

Ho tra la mia documentazione l’articolo pubblicato mercoledì 25 dal quotidiano Alto Adige sui risultati del progetto Kolipsi a cui ho lavorato in questi ultimi tre anni insieme alle colleghe dell’Eurac e dell’università di Trento. “Risultati drammatici” e “studio shock” sono le espressioni con cui viene etichettato il nostro studio che viene impropriamente ridotto a una simulazione dell’esame di bilinguismo. In realtà, come abbiamo avuto modo di spiegare a chi ci ha voluto ascoltare, Kolipsi è stato ben altro. Nella ricerca, infatti, non ci siamo limitati solamente a sottoporre agli studenti italiani e tedeschi iscritti in quarta superiore una delle due prove scritte dell’esame di bilinguismo di livello A/B ma abbiamo raccolto un tema in classe e somministrato un test creato ad hoc e che ci ha permesso di descrivere, attraverso il livelli del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, in quale misura gli studenti sono in grado di partecipare attivamente alla quotidianità locale nella loro rispettiva seconda lingua. Accanto all’indagine linguistica poi, per la prima volta nella nostra provincia, abbiamo indagato tutti quegli aspetti di tipo psicosociale che influenzano l’apprendimento e l’uso stesso della seconda lingua in Alto Adige, interrogando studenti, genitori e insegnanti attraverso dei questionari. Di tutto questo e dei numerosi spunti che abbiamo suggerito per un nuovo approccio alla seconda lingua non vedo che una pallida traccia. Nelle nostre intenzioni, Kolipsi non è stato concepito solamente come un progetto scientifico ma anche e soprattutto come un’occasione per verificare e mettere nero su bianco intuizioni che molti di noi hanno già avuto e per muovere, da lì, proposte concrete per valorizzare ciò che di buono già esiste e per migliorare ciò che va migliorato. Intendiamoci, non c’è buonismo né indulgenza nelle mie parole: è vero che molti ragazzi di lingua italiana mostrano, dopo dodici anni di insegnamento del tedesco, molte difficoltà nell’esprimersi nella seconda lingua ed è altrettanto vero che occorre colmare questa lacuna e il divario che esiste fra licei e istituti tecnici, anche nella scuola tedesca. Tuttavia, il nostro studio ha chiaramente evidenziato come l’insistenza circa l’”obiettivo patentino” – che rientra in quella che si definisce motivazione strumentale ovvero “studio la seconda lingua per superare l’esame di bilinguismo/per avere più occasioni di lavoro in provincia di Bolzano” - non produca quel miglioramento delle competenze linguistiche che tutti auspicano. Al contrario, abbiamo chiarito che è la motivazione integrativa (“studio la seconda lingua per avere più amici dell’altro gruppo”) a smuovere coscienze e lingua dei ragazzi che, attraverso il contatto con l’altro di lingua tedesca, si sentono più motivati ad apprendere la seconda lingua. Mentalità dura a morire quella di cui i media, anche in questa occasione, si fanno portavoce nonostante il messaggio finale della nostra presentazione fosse rivolto proprio a loro. Se è vero, infatti, che proporre esempi di contatto positivo fra gruppi diversi attraverso televisione, radio e carta stampata può incidere positivamente sugli atteggiamenti di chi ne fruisce, è altrettanto vero che essi possono contribuire a trasmettere messaggi che mettano in moto meccanismi diversi e più positivi. Può anche darsi che i nostri risultati fossero “già noti” come qualcuno, telegiornali inclusi, ha fatto notare: evidentemente se ci troviamo ancora una volta a parlare negli stessi termini di sempre delle stesse tematiche dopo anni, se non decenni di polemiche, significa che nessuna iniziativa è stata sufficientemente incisiva da cambiare le cose. Voglio credere che questa sia la volta buona.

Chiara Vettori

Comments are closed.