La seconda intervista del nuovo rettore
rassegna stampa / Alto Adige - 13/03/2004
 


Rita Franceschini è ancora in Germania, all’Università di Saarbrucken. Solo a fine marzo verrà a Bolzano per la firma. Il suo mandato inizierà col nuovo anno accademico, quando sostituirà il rettore pro-tempore Johann Drumbl.
Professoressa, il consiglio d’amministrazione ha dato il via libera anche al Centro di ricerca, la sua condizione numero uno...
«Non è una mia condizione. E’ stato il presidente Schmidl a decidere di istituirlo: così potrò continuare le mie ricerche anche dopo il rettorato. La ritengo una struttura molto importante per un’università che fa del trilinguismo il suo punto di forza».
Il potenziamento della ricerca permetterà di migliorare l’offerta didattica in più lingue?
«Credo di sì. Un centro di ricerca, impostato secondo i criteri più avanzati, porta innovazione e dinamismo».
Una delle critiche più frequenti è che la nostra università soffre di provincialismo, che assomiglia più ad una scuola superiore. Come intende cambiarla?
«Facendola crescere».
Come?
«Innanzitutto potenziando l’offerta. Ho parlato a lungo col presidente Schmidl. Siamo d’accordo: l’offerta formativa va allargata con nuove lauree brevi, lauree specialistiche, dottorati...».
Con cosa inizierà?
«Con un nuovo curriculum in scienza della comunicazione. Poi verificherò altre idee col senato accademico».
L’accordo prevede anche un cambiamento dello statuto e il passaggio dei poteri dal presidente Schmidl al nuovo rettore. Per l’università di Bolzano è una rivoluzione...
«L’Università di Bolzano è giovane. Una struttura di un certo tipo era necessaria per iniziare. Per gettare le basi...».
Adesso, però, a lei danno i poteri sulle nomine dei docenti e sulle facoltà. Cose che il suo predecessore si sognava...
«E’ arrivato il momento di rafforzare il corpo accademico. Ed è ovvio che il rettore abbia un ruolo importante. Ma, sia chiaro, il rettore non fa di testa sua: cercherò il massimo della condivisione con le altre autorità accademiche, col senato, coi docenti, con il consiglio. Un buon ateneo si costruisce con una buona squadra».
Un’altra critica all’università riguarda i rapporti deboli con la società. Una cattedrale che vive per conto suo...
«Io credo che l’università debba avere un collegamento col tessuto locale, ma senza dimenticarsi di proiettarsi anche fuori, a livello internazionale. Non bisogno chiudersi in se stessi. Altrimenti non si cresce».
Professori di ruolo o a contratto? All’ultima inaugurazione dell’anno accademico, Schmidl ha parlato di problemi causati dai “requisiti minimi” chiesti dal ministero, che vuole molti professori di ruolo mentre Bolzano ne vorrebbe metà a contratto per garantire il turnover. Cosa ne pensa?
«Ne ho già parlato a lungo con i presidi di facoltà. Penso sia molto importante avere un nucleo forte di docenti fissi, sempre presenti. Ma non si può rinunciare ad una fetta di insegnanti che vengono da fuori a dare respiro e portare idee nuove. Ci vuole un giusto mix».
Lei è considerata uno dei massimi esperti di plurilinguismo. Sotto la sua guida scientifica, l’ateneo diventerà un punto di riferimento per il dibattito sull’apprendimento della seconda lingua in Alto Adige?
«Lei sa benissimo che la politica linguistica è anche un terreno minato. Le ricette non esistono. Prima di proporre soluzioni o modelli bisogna analizzare bene la realtà, conoscerla a fondo, capirla dall’interno. Per farlo serve tempo».
Che impressione le ha fatto la società plurietnica altoatesina?
«Fino a questo momento non l’ho vissuta come una società divisa, forse perché parlo indifferentemente le due lingue. La cosa interessante è che, a livello internazionale, spesso si sente dire “dovete fare come in Sudtirolo”. Mi sembra una fucina interessante».
Le dispiace lasciare la Germania?
«Lascio un team affiatato e amicizie solide. Mi mancheranno molto. Ma sono molto attirata dalla sfida di Bolzano, dalla possibilità di fare ricerca con mezzi adeguati. E poi, finalmente, di vivere in una società bilingue».


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