Chi non salta monolingue è!
Gabriele Di Luca - 06/04/2004
 


La notizia è di quelle che dovrebbero fare discutere. Il governo regionale di Berlino ha annunciato recentemente che a partire dal 2005 gli alunni più dotati potranno accedere ad un curriculum provvisto di corsia preferenziale, ossia tagliato più sulle loro esigenze di apprendimento, che sul placido ritmo al quale siamo tutti stati abituati. È proprio anzi lo stesso concetto di “classe” a venir messo in discussione, postulando un percorso scolastico che non prevede soltanto il passaggio di livello, il “salto” di una o due classi là dove le competenze dell’allievo si dimostrino eccedenti lo standard dei suoi coetanei, ma generalizza la possibilità di seguire anche solo alcune materie (quelle nelle quali l’allievo si sarà dimostrato più capace o motivato) in corsi superiori. Questa informazione può essere naturalmente approfondita in molti modi, ma anche venir riferita ad una problematica che da un po’ di tempo a questa parte, oltrepassata l’epoca nella quale ogni discussione sul concetto di opportunità era prevalentemente legata al tema del recupero del deficit d’apprendimento, mira a ridefinire un criterio di “eccellenza” sul quale puntare per arginare la grave crisi di motivazione e di rendimento scolastico (osservata per esempio dalla pubblicazione, nel 2001, dei risultati del Programme for international Student Assessment) rilanciando più in generale una efficace politica culturale comunitaria.

Per far questo occorre forse esaminare da vicino il concetto di “eccellenza” che è implicato dal programma di questa innovazione, magari ipotizzandone (mi sia concesso questo “salto”) una applicazione anche per la scuola sudtirolese e segnatamente riguardo al campo dell’apprendimento linguistico. La strutturazione rigidamente bilingue della scuola provinciale ha mostrato infatti da tempo carenze perlomeno in merito alla possibilità di corrispondere alle esigenze di molti allievi collocati o collocabili in una zona d’appertenenza linguistica certamente “eccedente” gli schemi di apprendimento proposti. In un senso quasi paradossale ne va qui della tutela di una componente costantemente ignorata (si potrebbe insistere: “saltata”) nell’analisi che si compie elencando tutti i soggetti degni di tutela che vivono all’interno della Provincia. Stiamo ovviamente parlando della tutela di quei parlanti bilingui (o aspiranti tali) i quali potrebbero usufruire di un livello di istruzione e di visibilità pubblica oltrepassante la divisione imposta dall’applicazione letterale del dettato statutario (rivolto esclusivamente alla tutela dei “madrelingua” e non dei “bilingue”) e quindi aspiranti ad un livello di “eccellenza” certamente non attingibile (o più difficilmente attingibile) all’interno del modello scolastico esistente.

Mutuando l’idea che pone teoricamente fine al concetto di “classe” come insieme regolatore ed insuperabile di caratteristiche che ovviamente prescindono dalla storia irriducibile di ogni singolo allievo (se l’età diventa un criterio irrilevante per misurare certe competenze dovrebbe a maggior ragione poterlo diventare quello di una appartenenza linguistica estorta in base alle esigenze del “sistema”) si potrebbe qui pensare alla creazione di spazi d’apprendimento modificabili in base alle esigenze di formazione individuale e posti per così dire “di traverso” rispetto agli steccati oggi esistenti. Un facile esempio: se in una classe esistono allievi bilingui o potenzialmente bilingui non ha molto senso che essi usufruiscano di lezioni di “seconda lingua” postulanti un livello decisamente più basso di quello da loro posseduto. Molto meglio sarebbe rompere l’unità fittizia della lezione permettendo a quegli allievi una via di fuga in una classe nella quale quella “seconda lingua” torni ad essere o divenga l’altra “prima lingua”. Ovviamente la possibilità dovrebbe essere garantita a qualsiasi allievo od allieva che volesse non accontentarsi di una formazione in un certo senso orba, ma provasse il fascino di una sfida culturale apertamente interculturale.

Esiste un coro, generalmente cantato in tono canzonatorio dai tifosi di calcio, che recita “chi non salta … è!”, là dove i puntini di sospensione possono essere riempiti dal nome dei tifosi avversari che si vogliono escludere da quella manifestazione di gioia. Senza implicare la sfumatura di scherno che sostiene il linguaggio da stadio si potrebbe ipotizzare un significato analogo per questi “saltatori” e “oltrepassatori” delle differenti trincee (“Schulen als Schützengräben”, l’immagine è di Claus Gatterer) poste a protezione esclusiva di una impostazione culturale e didattica monolingue. “Chi salta” sarà dunque chi, capace di sollevarsi oltre le barriere mentali generate dall’assunzione imperante di una divisa monocolore, si farà portatore di un messaggio basato sulla promozione di una identità sfumata e versatile, fieramente sostenitrice di una mitologia civile ancora tutta da creare: quella di un bilinguismo vissuto non come faticosa imposizione o come una camicia di forza buona tutt’al più per superare l’esame di patentino, ma come qualcosa in grado di arricchire e perfezionare la propria identità sudtirolese. “Chi non salta” sarà invece chi preferisce ignorare l’ostacolo, chi antepone alla cura della futura identità sudtirolese la cura di un passato del quale sopravvivono soltanto i ricordi delle divisioni e delle rispettive identificazioni, e nel quale eccellere significava soprattutto distinguersi come paladini della rispettiva incomprensione (26 febbraio 2003).


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